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Back in time! Recensione di1989 di Taylor Swift
A neanche 25 anni Taylor Swift sembra una veterana. La sua carriera è stata finora costellata da grandi successi e nessun passaggio a vuoto: dal disco d’esordio (“Taylor Swift”) fino al disco dell’esplorazione (“Red”), passando per il disco della consacrazione (“Fearless”) e il disco della riconferma (“Speak now”).
Taylor Swift si è costruita un’identità musicale, un’immagine ed una credibilità che non si trovano nella maggior parte delle altre cantanti.
3 fattori, interconessi tra loro, sono alla base della sua fama: le vendite stellari, l’apprezzamento della critica musicale, l’appoggio dei media. In un certo qual modo, Taylor Swift mette a rischio la forza di questi 3 fattori con il suo nuovo album “1989”. Questo perchè il disco rappresenta una svolta. Svolta pop. Con una scelta coraggiosa, Taylor ha messo da parte il genere che dall’inizio della sua carriera le ha regalato successi, premi, fama: il country.

Questa decisione ha implicato varie conseguenze: non andare più ai vari country awards, non fare più incetta di premi e, cosa più importante, non essere più passata dalle radio country. Si dirà che questo cambiamento al pop era già stato fatto 2 anni fa: probabilmente si, però Taylor a quei tempi si faceva considerare una cantante country-pop. Con il nuovo album “1989” la Swift ha deciso di non avere più un piede in due staffe ed ha optato per il pop.
Inutile dire che ci potrebbero essere mille pro e mille contro a questa decisione: c’è chi è dell’idea che se un’artista vuole mantenere il successo non può che innovarsi in modo da sorprendere sempre (Madonna docet).
D’altra parte c’è chi pensa che accostandosi al pop, la Swift perda la sua pecularietà di cantante crossover country-pop e diventa ‘una delle tante pop-stars’.
Con queste premesse le attese nei confronti di “1989” erano altissime. Valeva veramente la pena questo cambio di genere? C’è stato veramente un cambio di genere? Questo album rischia di essere un boomerang per la carriera di Taylor Swift?
La nuova Taylor pop è migliore della vecchia Taylor country?
La 1989 Era è iniziata con la smash hit pop “Shake it off”, brano destinato a diventare il brano di maggior successo di Taylor Swift a livello mondiale. Il successo del singolo, ha fortunatamente scongiurato l’ipotesi di pubblicare come 3/4 conuntdown singles prima dell’album come era successo nella Speak Now e nella Red Era. Ci si è limitati a due singoli promozionali evitando così sovrapposizione e confusione che non avrebbero giovato all’album. Il CD si compone di 13 tracce nella standard edition a cui si aggiungono 3 tracce e 3 memo vocali nella deluxe edition.
Welcome to New York
dopo Alicia Keys e Jay Z, anche Ryan Tedder e Taylor Swift si propongono di scrivere un inno a New York.
In realtà questa open-track ha ben poco in comune con l’iconica “Empire state of mind”. La traccia è probabilmente la più banale tra quelle mai realizzate dalla cantante. Un sound synth pop anni 80′ reso dozzinale e monotono. Un ritornello spento e ripetitivo, nel senso negativo del termine. Inoltre, escluso il testo del bridge, non c’è nulla nel brano che lo ricongiunga a Taylor Swift. Spiace pensare che la prima delle due tracce in collaborazione con Ryan Tedder sia così poco interessante.
Risulta veramente difficile credere che la Big Machine Records, sempre attentissima a gestire gli album della Swift, si sia presa un abbaglio così forte da scegliere questa traccia come singolo promozionale. Forse “Welcome to New York” potrà essere un bel biglietto da visita per la grande Mela,ma di sicuro non lo è per “1989”.
Blank Space
nelle precedenti ere discografiche di Taylor Swift, il secondo singolo serviva per ricordare a tutti che lei sapeva ancora fare canzoni country di livello (“Back to december” e “Begin Again”), nella 1989 Era questo problema non c’è più e come secondo singolo è stato scelto “Blank Space”. La canzone non è quello che ci si può aspettare soprattutto dopo aver ascoltato “Shake it off” e i due singoli promozionali.
A partire dal ritornello: dopo i refrain ripetitivi dei 3 pezzi citati, non è facile inquadrare il lungo ritornello di questo brano. Stessa cosa per le strofe che sono come una lista di parole ritmata. Inoltre colpisce questa sensazione di malinconia ed irriverenza che trapare dal sound e dalle parole in cui Taylor racconta il modo con cui viene descritta dai media: “Got a long list of ex-lovers, they will tell you I’m insane”.
Tutto ciò sembra rendere il brano da una parte assurdo e dall’altra anonimo. Dopo alcuni ascolti però “Blank space” cresce ed è e si fa apprezzare molto. Poi è arrivato il video che ha centrato pienamente il messaggio della canzone, come pochi videoclip sanno fare. Si può dire senza dubbio che con questa scelta Taylor abbia rischiato (anche molto) ma pure in questo caso la scelta è stata vincente.
Style
anticipata dalla pubblicità della versione deluxe di “1989” rappresenta pienamente la svolta pop di Taylor. La canzone è tra le principali candidate a diventare un singolo ufficiale. Riconoscibile, incalzante ed orecchiabile, la canzone avrà modo di scalare le classifiche come ha già fatto nei giorni successivi all’uscita di “1989”.
Inoltre il testo non fa che rinforzare l’immagine di ‘brava ragazza’ di Taylor:
Tu hai quello sguardo da sogno alla James Dean nei tuoi occhi ed io ho un classico rossetto rosso che a te piace…… ed io ho la fiducia tipica di una brava ragazza ed una stretta gonna corta e quando ci scontriamo, torniamo indietro ogni volta perchè non passiamo mai di moda, non passiamo mai di moda”.
Insomma terzo singolo?
Out Of The Woods
il primo singolo promozionale di “1989” è la midtempo-ballad “Out of the woods”. Prodotta da Jack Anthonoff, già collaboratore della cantante in “Sweeter than fiction”, il brano è di un pop maturo: ricercato il sound della base (merito di Antonoff), ricercato il testo (come solito di Taylor). L’atmosfera che crea la canzone è misteriosa, suggestiva ed indefinita e ben si adatta al titolo “Fuori dal bosco”.
Il testo parlerebbe della relazione tra la Swift e Harry Styles, una storia di pochi mesi caratterizzata anche da episodi spiacevoli come un incidente sulla neve con conseguente ricovero in ospedale, episodio che viene sfiorato nel bridge (“Remember when you hit the breaks too soon, twenty stitches in a hospital room”). bridge che è sicuramente l’elemento più forte del brano. Qualitativamente siamo ad uno pezzi migliori dell’album, un pezzo più bello ad ogni ascolto. Taylor ci dimostra di non aver perso la capacità di trasmettere emozioni con i suoi versi. ” Può diventare singolo ufficiale.
All you had to do was stay
leggendo la tracklist avrei scommesso che “All you had to do was stay” fosse una ballad strappalacrime ed invece no. Taylor e Max Martin ci stupiscono in questa traccia electro-pop dal ritmo ballabile ed incontenibile. Siamo ben lontani dai territori più congeniali di Taylor Swift ma in questo caso il brano risulta comunque riuscito. Anche questo brano, stando all’intervista realizzata da Taylor Swift a Rolling Stone, sembrerebbe trattare della relazione con Harry Styles”.
Shake It Off
costruita per sfondare in tutte le charts, “Shake it off” non ha fallito. E non poteva fallire. Il sound non permette di stare fermi: tra il suono del sassofono, la melodia semplice da subito e il ritornello, uno dei più potenti della stessa carriera della cantante. Unico elemento che secondo me non funziona è il bridge in quanto inadatto al resto del brano. Per quanto riguarda il testo siamo di fronte ad un inno alla positività e al non preoccuparsi degli attacchi degli altri (“Haters gonna hate”). Si vede che i tempi sono cambiati: 4 anni fa Taylor dedicava due brani a chi l’aveva criticata/offesa: “Innocent” per Kanye West e “Mean” per il giornalista Bob Lefsetz.
I Wish You Would
ritorna il sound (sicuramente più originale) di Jack Anthonoff nel brano “I wish you would”. In questo caso la canzone vira verso sonorità pop-rock. Siamo in una delle tracce che più ricorda anni 80′ a cui Taylor si è ispirata per questo album. Risulta un po’ banale il ritornello “I-I-I I Wish-wish” Sicuramente nel complesso non è male, ma probabilmente è un gradino sotto le precedenti.
Bad Blood
l’attesa per “Bad blood” era altissima in particolare si voleva capire quanto Taylor Swift si sarebbe spinta nelle critiche ad una famosa cantante (altrimenti nota come Katy Perry….). La canzone non delude: un uptempo potente, incisiva, rabbiosa in cui Taylor si scaglia duramente contro la sua rivale “Ho ancora le cicatrici sulla schiena dal tuo coltello Quindi non credo che sia in passato Questo tipo di ferite che durano e durano, Ora hai pensato a tutto fino in fondo? Tutte queste cose ti si ritorceranno contro E il tempo può guarire, ma questo no”. Sarà interessante vedere se uscirà fuori qualche notizia sui motivi che stanno alla base di questo dissidio. Intanto ci gustiamo questo brano che si candida a diventare subito un singolo ufficiale.
Wildest Dreams
la nona traccia di “1989” rappresenta musicalmente qualcosa di originale nella discografia della Swift. Seppur si rimane nell’ambito del pop, “Wildest dreams” è molto influenzata dallo stile di Lana Del Rey. In questa midtempo-ballad, il sound elegante e raffinato si sposa alla perfezione con un testo un po’ scabroso per gli standard di Taylor Swift. Chissà che non venga rilasciata come singolo nella seconda parte del 2015, infondo su iTunes USA è una delle album tracks che sta avendo maggiore successo.
How you get the girl
se nel 2013 era stata scelta “22” come singolo da promuovere nella pubblicità della Diet Coke di cui Taylor Swift è sponsor ufficiale, quest’anno è stata scelta “How you get the girl”. Diciamolo subito in questo caso siamo di fronte ad un album filler. Da una parte vengono rispolverate le chitarre acustiche (che troveremo soprattutto nella prossima traccia) dall’altra si continua a puntare su beat elettronici. Per l’atmosfera rilassata e spassosa può far tornare in mente la title track “Speak now” o “Stay stay stay” di “Red” a differenza di queste però la decima traccia di “1989” rimane sul pop semplice e spensierato.
This Love
i nostalgici della country-Taylor stavano aspettando soprattutto questa traccia: l’unica scritta dalla sola Taylor e prodotta insieme al collaboratore storico della cantante Nathan Chapman. “This love” può effettivamente essere considerata l’unica concessione al country di tutto l’album. Peraltro siamo di fronte alla prima vera ballad del disco e ciò per essere un album di Taylor Swift è alquanto strano e denota un’altra faccia della svolta pop di questo disco. Personalmente penso che dall’unica traccia del binomio Swift-Chapman ci si poteva aspettare di più. Siamo lontani dal livello dei migliori brani country-pop di “Fearless”, “Speak Now” e “Red”. Forse era destino che in questa Era il country non ci dovesse essere neppure lontanamente.
I Know Places
Taylor Swift e Ryan Tedder si riscattano notevolmente con “I know places”. Il brano è uno dei più ricercati dell’album a partire dal sound affascinante ed elettrizzante. Possiamo notare le influenze di Lana del Rey e Lorde nel mondo di cantare Taylor Swift, il che conferisce al brano (come in “Wildest dreams”) un’aura di maestosità. Il brano è veramente ben riuscito e può diventare singolo ufficiale. Unico problema: dopo l’uscita dell’album questa è stata la canzone che ha avuto meno successo su iTunes US….casualità?
Clean
a febbraio 2014, mentre era in Europa per il Red Tour, Taylor Swift ha ricevuto un’e-mail da Imogen Heap che le faceva sapere di aver scritto del materiale per lei. Nasce così “Clean” la traccia che conclude la standard edition. Il brano è nettamente distinguibile da tuttii i precedenti e rappresenta un’ottima (prima) chiusura dell’album. Bella melodia, l’arrangiamento, il testo (da citare la metafora “Sei ancora su di me come un vestito sporco di vino che non posso più indossare“).. …insomma un piccolo capolavoro che i fans non potranno dimenticarsi. Con questa canzone Taylor Swift ci ricorda che si può fare musica di qualità, matura, ricercata anche in un album pop e senza che risulti stonata nel contesto.
DELUXE EDITION:
Wonderland
l’ennesima traccia prodotta da Max Martin e Shellback è probabilmente la peggiore delle collaborazioni della Swift con i due produttori svedesi. Al posto di Taylor potrebbe benissimo cantare questo pezzo una qualsiasi altra pop-star senza nessuna differenza. Anzi forse c’è chi potrebbe rendere più giustizia al brano. Giusto averla esclusa dalla standard edition.
You are in Love
sembra di fare un passo indietro nel tempo con “You R inlove”, il brano, per sound e tematiche, è accostabile ai primi album della Swift. Alcuni forse penseranno che in questa traccia si può ascoltare, come in poche altre di “1989”, la vera Taylor. Fattostà che il taglio pop di “1989” ha finito per escluderla dalla versione standard del disco ma non c’è dubbio che questa ballad co-scritta e co-prodotta con Jack Anthonoff, come già evidenziato nel post “Taylor Swift: 5 canzoni da scoprire”, meriti molto.
New Romantics
sound frenetico e ballabile nell’ultima traccia inedita della deluxe edition: “New Romantics”. Il ritornello è uno dei più orecchiabili di tutto l’album. Il testo è in pieno stile Taylor: ‘Perché bambino potrei costruire un castello Con tutti i mattoni che hanno gettato su di me E ogni giorno è come una battaglia Ma ogni notte con noi è come un sogno Noi siamo i nuovi romantici”. Sinceramente si fa fatica a capire anche in questo caso come mai si sia scelto di relegare il brano nella deluxe edition. Forse per incentivarne l’acquisto.
Partimo dai singoli futuri. Per il terzo singolo c’è chiaramente un ballottaggio tra “Style” e “Bad blood”. Inizialmente “Style” sembrava non avere rivali ma invece”Bad Blood” sta ottenendo un miglior riscontro su iTunes US di conseguenza sarà una scelta molto difficile.
Dando per scontato che la canzone che non diventerà terzo singolo, sarà estratta come quarto, possiamo passare al quinto singolo dove vedrei bene “Out fo the Woods”, autentica perla del disco. In seguito come sesto e settimo singolo (in fondo si sa che Taylor Swift estrae sempre tantissimi singoli) punterei su “I know places” e “Wildest dreams”. Infine come outsider segnalerei “All you had to do was stay”.
Per un artista country-pop, entrare nel territorio (non di competenza) del pop è un rischio: devi dimostrarti da subito superiore a chi già fa il genere da anni altrimenti non andrai da nessuna parte. Questa regola però non vale per Taylor Swift: il suo vero obiettivo era riuscire a rimanere se stessa e con il suo stile musicale anche nell’ambito pop.
Questo obiettivo è centrato parzialmente in “1989”: ci sono tanti casi in cui la Swift, pur chiaramente lontana dal suo stile più naturale, se la cava alla grande: “Shake it off”, “Wildest Dreams”, “Clean”, “I Know places”.
In altri casi colei che canta (e scrive i brani) poteva essere benissimo qualcun altra (“Welcome to New York” e “I wish you would”, “Wonderland”). Ascoltando i brani si rimane quindi dubbiosi su quanto realmente questo disco rispecchi la cantante in questione e quanto invece sia condizionato dai (comunque ottimi) collaboratori.
Il passaggio al pop, è stato inevitabile, quello che si poteva evitare era di appoggiarsi ad autori e produttori come Martin e Shellback che hanno segnato profondamente il pop degli ultimi 15 anni. Infatti in “1989” il rischio omologazione a tante altre pop-stars (la ‘rivale’ Katy Perry su tutte) è spesso dietro l’angolo. In definitiva il potenziale artistico di questa cantautrice non è valorizzato al meglio da “1989”.
Personalmente ho ritenuto che nel percorso da “Taylor Swift” a “Red”, la cantante fosse cresciuta musicalmente realizzando ogni volta un album migliore del precendente. La catena però si ferma qui in quanto “1989” è qualitativamente e musicalmente inferiore a “Speak now” e “Red” (a prescindere dal passaggio dal country al pop) mentre non avrebbe senso paragonarlo ai primi due album in quanto essi erano prettamente country. Tanto di capello comunque a questa ragazza per la voglia di rinnovarsi e di cercare nuove strade. Il mondo della musica ( e non solo quello pop) ha bisogno di artisti come lei.
The Review
Recensione in breve
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Taylor Swift - 1989