Un album così non ti capita spesso di sentirlo, soprattutto in questo periodo in cui diversi artisti “black” si sono dimenticati cosa sia la musica “black” sia in termini di ritmica e suoni, sia in termini di lyrics.
E infatti, quando esce un progetto che mette insieme due dei pezzi più grossi della scena, tu speri che ci sia ancora del vero hip-hop almeno lì: e le nostre speranze sono state accontentate! Il titolo “Watch The Throne” (sul quale si saranno già scatenati tutti gli interpeti dei segni del male e i satanisti, visto che ultimamente Jay si è divertito parecchio su questo tema) è un titolo un po’ altezzoso, un po’ sbruffone, ma infondo se non si merita il trono, un lavoro così vince comunque una corona d’oro! Per il momento si è già meritato il titolo di disco più venduto negli States per 2 settimane consecutive, scalzato poi alla seconda posizione dalla concorrenza di Game, e con una vendita totale di oltre 700.000 copie nelle prime 3 settimane solo in U.S.
Sono 16 tracce (12 + 4 bonus) con featuring interessanti (anche se, eccetto Beyoncé, non si tratta di nomi altisonanti), campioni di grande rispetto e basi fresche e raffinate, dove passi dalla mid-tempo al club banger con facilità, ma dove ti perdi in testi che hanno in alcuni casi molte facce, come se li ci stessero le domande, non le risposte. Facile ed allo stesso tempo difficile, catchy ma con un certo peso, sembra che Jay-Z e Kanye abbiano trovato il punto di equilibrio giusto, e un certo equilibrio c’è anche all’interno della coppia, che si alterna simmetricamente nelle rime, negli attacchi e nelle chiusure di ogni traccia.
Tracce che sono state prodotte per la maggior parte da Kanye West, con il contributo e la collaborazione di 88 Keys, di Pharrel ed i Neptunes, di Swizz Beatz, di Q-Tip (si, quello leggendario), di Mike Dean. Tracce che in molto casi sono ricercatissime nei suoni e nella costruzione, con soluzioni che ti sorprendono e ti lasciano affascinato (come a seguire il solco già tracciata da Kanye in “By Beautiful Dark Twisted Fantasy”), o che in altri casi ricordano una struttura ed una scelta dei campioni simile ai primi album di mr. West.
In ogni caso Jay-Z non ha messo mano alla produzione, ma si è limitato alle lyrics: e anche qui ci sarebbe da dire davvero molto, ma chi conosce il suo (loro) stile sa che sono sempre un po’ boosting nei pezzi, molto fieri di sé ed anche autocelebrativi… di certo non finisce tutto lì, anzi in alcune tracce le cose dette sono tante, e quelle non dette ancora di più. Stimolo a pensare, oltre che ad ascoltare.
L’album inizia con “No Church In The Wild” prodotta da 88 Keys, una delle canzone che ti lasciano più “spiazzato” nel testo e che allo stesso tempo ti catturano con il beat, e probabilmente proprio per questo messa in apertura di tracklist.
Il secondo pezzo “Lift Off” credo sia un ottimo candidato all’airplay, anche se per il momento non è ancora stato scelto come singolo: non per niente il feat. è di Beyoncé, che con la sua voce, affiancata a suoni trionfali ed atmosfere un po’ retrò, rende la traccia praticamente un anthem! Peccato che le rime dei 2 autori qui non lascino particolarmente il segno.
La terza traccia è invece ufficialmente il secondo singolo per il mercato americano, prodotto da Mike Dean e Hit-Boy: in “Niggas In Paris” si ritrovano finalmente ritmiche, lyrics e atmosfere da dancefloor duro e sporco, anche se nel finale – come quasi tutte le tracce dell’album – cambiano sia il ritmo che l’atmosfera della traccia, che rallenta come se si lasciasse il club diretti verso un’altra destinazione.
Il primo singolo da Watch The Throne è stato invece inserito alla traccia 4, e ormai lo conosciamo bene: si tratta di “Otis”, pezzo prodotto interamente da Kanye, che fin dal titolo rende onore a Otis Redding, il quale fa virtualmente il featuring in questa traccia, grazie ad un lungo campionamento iniziale (poi ripreso in tutta la base) della sua Try A Little Tenderness, anche se il testo è tutto dedicato a chi, nel mondo, vince e si gode la vittoria.
“Gotta Have It” è invece firmata dai Neptunes, anche qui con un grande come James Brown campionato nel sample: come in un gioco di parole Jay e Kanye si rimbalzano da una rima all’altra, raccontando storie, vite, strade reali mentre il flauto nella base ti ipnotizza lentamente.
La sesta traccia è “New Day”, pezzo che sa di dolcezza ma anche un po’ di rimpianto, che suona come una promessa ai figli di domani, una promessa di una vita migliore della propria; la voce di Nina Simone è campionata, ma irriconoscibile grazie all’autotune, e alla produzione c’è un altro pezzo grosso dell’hip-hop anni 90, RZA. Respect!
Con la numero 7 “That’s My Bitch” Kanye e Q-tip tirano fuori un beat trascinante che sembra a metà tra i suoni del presente e quelli degli anni ’90, e come si capisce dal titolo si tratta di una celebrazione (ovviamente un po’ volgare) della propria donna, che ha addosso gli occhi di tutti… e in effeti, è proprio il caso di Jay e Bee!
Quando senti partire la traccia 8 invece capisci subito che c’è dietro una mano diversa, e in effetti “Welcome To The Jungle” è prodotta da Swizz Beatz. I suoi suoni, scuri e ripetitivi, ti portano proprio a pensare a quel tipo di giungla che Jay e Kanye cantano nel pezzo: la giungla della vita, di chi soffre e di chi sopravvive; una traccia intensa, che sa di hip-hop nel senso più originale.
Ancora più dura nei suoni e nelle atmosfere è “Who Gon Stop Me”, forse il pezzo con le sonorità più elettroniche di tutto l’album – ma anche in questo caso si tratta di un’elettronica lontana dalle tracce commerciali che hanno contaminato l’hip-hop negli ultimi due anni. Al pari dei suoni, anche le lyrics di questo pezzo sono dure e il rap è aggressivo: tutto a dimostrare che loro non temono nessuno.
Alla traccia numero 10 troviamo praticamente due canzoni in una: “Murder to Excellence” dura 5 minuti, e passa da una prima parte (Murder) prodotta da Swizz Beats, alla seconda parte (Excellence) firmata invece da S1, fuse insieme senza che te ne accorga e legate dalle rime che raccontano di morte e di vita sociale tra gli americani di colore, riportando un po’ il percorso dell’album verso temi più social.
Alla numero 11 invece c’è “We Made It In America”, pezzo dove si ritrova un tema che ricorre spesso tra gli artisti americani, quello del self-made-man U.S.A. e delle strade che lo hanno portato al successo, come descrivono Jay e Kanye, che si raccontano proprio attraverso le rime. La voce di Frank Ocean e le atmosfere che accompagnano la traccia, però, la addolciscono un po’ troppo (a me ha dato perfino l’impressione di essere un pezzo quasi natalizio!).
L’album ufficiale si chiude con la traccia 12, ovvero “Why I Love You”, singolo parallelo a “Niggas in Paris” come avevamo già anticipato: la voce di Mr. Hudson presente nel pezzo accompagna Jay-Z (voce principale del pezzo) e la canzone racconta di delusioni e tradimenti da parte di persone in cui hai creduto. La produzione di Mike Dean e di Kanye la rende un pezzo abbastanza facile e proprio per questo è stata scelta per le hit-radio, ma non per questo degna di poca considerazione.
Nella Deluxe edition dell’album sono poi incluse altre quattro tracce, “Illest Motherfucker Alive”, “Primetime”, “The Joy” e lo street-single che era stato lanciato nei mesi scorsi, ovvero “H.A.M.” (Hard as Muthaf-ker), traccia molto forte nei contenuti (con paragoni sessualmente espliciti) e nello stile che osa davvero oltre ogni limite, mescolando una voce gospel (quasi lirica) con ritmiche scure e suoni ricercati. Forse uno dei pezzi più vicini allo stile sperimentale dell’ultimo album di Kanye.
Come avrete capito quest’album mi è piaciuto molto, anche se al primo ascolto mi era sembrato “fin troppo facile”, e di solito quello che è troppo semplice e popolare, poi si rivela povero: ma direi che non è questo il caso, visto che dopo averlo ascoltato per molte volte di fila, continuo a fare repeat (sebbene io, da bravo schizzinoso, trovo sempre qualche traccia che non mi va giù, anche nel migliore degli album). Il fatto che questo lavoro abbia battuto il record di vendite in una settimana dell’I-tunes store americano (l’album rap che ha venduto più di ogni altro nei primi 7 giorni, con oltre 290,00 copie solo in digitale) mi fa pensare che “Watch The Throne” sia piaciuto a molte altre persone.
Forse dare 5 stelle a questo lavoro è un po’ azzardato, probabilmente servirebbe un po’ più di tempo per valutare, a posteriori, se se le merita davvero. Ma un bel 4 e mezzo se lo merita tutto, soprattutto in un periodo così povero di idee e pro positività nell’ambito black-mainstream.
E a voi come è sembrato? Ve lo aspettavate proprio così? Cosa non vi piace del prodotto di questa super collabo? Aspettiamo i vostri comment! Credo, e spero, che se ne parlerà ancora parecchio.
Peace
Smo