Dopo aver dedicato un articolo analogo a Mariah Carey, con questo post ho deciso di proporvi alcuni tra i brani migliori nella discografia di un’altra grandiosa interprete. Sto parlando di Alicia-Augello-Cook (in arte Alicia Keys), donna nata nei sobborghi di New York (Hell’s Kitchen) da padre afro-americano e madre di origini italiane-irlandesi-britanniche-scozzesi il 25 gennaio 1981.
Il suo sogno, da piccola, è quello di diventare attrice e, così, la madre – poiché i suoi genitori si separano quando lei ha quattro anni, ed è così solo lei a crescerla – la porta a svariati provini, fino ad essere scelta come amica di Rudy (la piccolina della famiglia Robinson, la più piccola di casa fino all’arrivo di Olivia); comincia ad avvicinarsi alla musica all’età di sette anni, imparando a suonare il pianoforte e, a soli tredici anni, dopo solo sei anni di studio, compone la sua prima canzone, ovvero “Butterflyz” (che ritroveremo più avanti), cosa rarissima visto che, generalmente, ci vogliono circa otto anni di studio prima di comporre qualcosa di serio.
A sedici anni, si diploma come migliore studentessa del suo corso (del resto la nostra Alicia è un genio vero e proprio) e viene accettata alla prestigiosa Columbia University, dove non frequenterà mai i corsi, scegliendo di dedicarsi alla sua carriera musicale, registrando la sua prima canzone nel 1997 per la colonna sonora di Men in Black, per poi firmare un contratto con Clive Davis (uno dei più grandi produttori nella storia della musica americana, “godfather” di Whitney Houston), riuscendo a registrare una canzone per il film Shaft e una per il film Dottor Dolittle 2, fino a produrre il suo album “Songs in a Minor” nel 2001, appena ventenne.
Dotata di uno strumento di ben tre ottave (B2-B5), è famosa per non abusare troppo del suo falsetto, oltre che per saper suonare (tenetevi pronti) ben otto strumenti, per saper ballare perfettamente, e per comporre e scrivere e produrre tutto il suo materiale.
Nominata l’artista R&B del decennio da Billboard, è responsabile della rivoluzione maggiore dei primi anni 2000 in campo urban, ovvero di aver portato il piano come strumento principale all’interno d’esso, quindi, per tutte queste motivazioni, sono sicuro che avrete capito perché io la definisco l’artista più talentuosa degli anni 2000, e, forse, l’ultima vera leggenda che essi ci abbiano dato.
Quindi, hands down, prima che arrivassero le varie Amy Winehouse e Adele, c’era lei, la leggendaria Alicia Keys; e scommetto che non sono l’unico ad aver sognato più volte un duetto con Lauryn Hill, o un secondo duetto con Beyoncé.
E la cosa più bella è che lei è sempre stata lontana dal contaminare il suo stile con generi troppo commerciali, quali dance o un tipo di pop troppo sempliciotto, restando sempre nel suo territorio, rivoluzionando e creando uno stile su cui diverse persone, oltre le sopraccitate, hanno basato la loro carriera artisti come Sam Smith e Duffy.
Cominciamo ora il nostro viaggio nella discografia della seconda donna più premiata ai Grammy della nostra generazione, Queen Alicia Keys.
Canzone: Butterflyz; Album: Songs in A minor; Scrittori: Alicia Keys; Produttori: Alicia Keys;
Citazione preferita: “You give me butterflyz, got me flying so high in the sky, I can’t control the butterflyz.”
Apriamo le danze con Songs in A minor, album da oltre dodici milioni di copie nel mondo che la catapultò nell’immaginario comune come una delle più grandi rivelazioni degli anni 2000; l’album è un fantastico connubio tra il neosoul, l’R&B e il jazz; non a caso, Alicia Keys è stata paragonata, per il suo immenso talento, a mostri sacri della musica quali Aretha Franklin, Stevie Wonder, Billie Holiday e Prince.
Alicia divenne la prima donna di sempre a vincere cinque grammy in una serata, la best-selling new artist e la best-selling rnb artist di quell’anno; tutte le canzoni dell’album furono scritte o coscritte da Alicia, eccetto per l’interludio e per una cover della splendida “How come U don’t call me anymore” del suo idolo Prince.
Passiamo a parlare di Butterflyz, canzone che scrisse alla tenera età di tredici anni quando io ancora tentavo di capire come dividere una canzone in strofe e ritornello; essa è una splendida ballata in cui lei semplicemente racconta di come senta le farfalle (nello stomaco, si suppone) quando sta col suo amante, una splendida canzone d’amore che qualsiasi persona potrebbe dedicare a colui o colei che ama; non è sicuramente una delle sue canzoni più elaborate, e potrebbe rabbrividire se paragonata a una “Woman’s worth” o a una “Falling” (di cui non ho parlato poiché singoli, ma che consiglio di ascoltare se vogliate capire chi è Alicia Keys), ma è perfetta così com’è, nella sua dolcezza; ah, ovviamente, anche la base al pianoforte è stata scritta da lei.
E’ una canzone che, come spesso accade, va contro il personaggio maschiaccio che Alicia si era creata poiché spaventata da quel mondo in cui si era andata a cacciare, con quelle bellissime treccine che la portarono al successo.
Canzone: When you really love someone; Album: The Diary of Alicia Keys; Scrittori: Keys, Brothers; Produttori: Keys;
Citazione preferita: “To love you when you’re right, love you when you’re wrong; love you when you’re weak, love you when you’re strong.”
Oltre che per i testi, Alicia deve la sua fama ed il suo prestigio anche alla composizioni di splendidi arrangiamenti. Anche se con il suo secondo album Alicia è migliorata molto anche con i primi, pure qui il suo punto di forza restarono questi ultimi, vera essenza della sua musica.
Il suo secondo album ricevette critiche positive e fu in grado di vendere otto milioni di copie, oltre che a piazzare tre singoli in top 10, cosa incredibilmente rara per un’artista come lei che, ancora, non aveva imbracciato la strada della commercialità. Inoltre quest’album è il 126° tra i dischi migliori di sempre secondo la Rock and Roll Hall of fame.
Per questo album, ho scelto la mia (seconda) canzone preferita, ovvero “When you really love someone”. In questo pezzo Alicia, indossando dapprima le parti di donna poi e quelle di uomo, si lascia andare e canta uno dei suoi migliori testi.
L’interprete descrive ciò di cui hanno bisogno una donna e un uomo per sopravvivere (love & support), aggiungendo come una due innamorati non siano abbastanza uomo e donna se non danno al loro partner tutto quello di cui hanno bisogno, anche e soprattutto quando uno dei due sta male.
Il tutto culmina in una serie di “yeah” ripetuti dolcemente, con sottofondo un’Alicia Keys che si lascia andare a brevissimi “gargarismi” vocali, fino a terminare in un silenzio assoluto.
Canzone: Lesson Learned; Album: As I am; Scrittori: Alicia, John Mayer; Produttori: Alicia, Mayer;
Citazione preferita: “Life perfect ain’t perfect if you don’t know what what the struggle’s for; falling down ain’t fallin’ down if you don’t cry when you hit the floor; it’s called the past ‘cause I’m gettin past and I aint’t nothing like I was before, you ought to see me now.”
Eccoci arrivati all’album che segnò una svolta nel lavoro di Alicia, l’album che segnò una contaminazione nel suo stile, avvicinandola a quello di Beyoncé, ovvero uno stile che unisce Soul al pop, cosa evidentissima in “No one”, che diventò il singolo di maggior successo della sua carriera, riuscendo a piazzare ben otto milioni di copie nel mondo.
Questo risultato le permise di mantenersi costante con le vendite del disco, arrivando a smerciare cinque milioni di copie a livello mondiale.
Cercando di contaminare il suo stile con altri generi musicali, successe ciò che è successo recentemente a Taylor Swift: il lavorare di meno per conto proprio, tant’è che scrisse da sola solamente due tracce e non ne compose nemmeno una.
Le critiche vanno fatte però: da quest’album in poi, Alicia sarebbe stata continuamente accusata di parlare di argomenti ripetitivi, quali argomenti d’amore, fino, per lo meno, ai recenti singoli “we are here” e “we gotta pray”.
Aggiungo che, un po’ come fece la contaminazione R&B con Mariah in Daydream, qui il pop divise i fan di Alicia, ma, sicuramente, si è procurata un’ottima carriera grazie ad esso.
La canzone di cui ho scelto di parlarvi è una perla nascosta, ovvero spesso snobbata anche dai suoi fan, cioè “Lesson Learned”, nella quale si fa aiutare da John Mayer che, a dir la verità, non ha un ruolo fondamentale in questa canzone, tanto che si limita a canticchiare “It’s alright” come background.
In questa canzone, che ritengo una delle migliori prove di songwriting da parte sua, Alicia ci accompagna dolcemente nella prima strofa dove ci racconta il preludio di tutto, accennando a come il suo uomo abbia spezzato il suo cuore, per poi continuare con degli accenni di voce di Mayer, fino ad arrivare all’affermazione secondo la quale, nonostante il dolore, lei ha preso tutto come una lezione imparata, passando poi a parlare delle bugie che lui le ha raccontato.
Successivamente Alicis ci racconta della sua visione della vita (Life perfect ain’t perfect if you don’t know what what the struggle’s for; falling down ain’t fallin’ down if you don’t cry when you hit the floor), per poi calmarsi e sussurrarci il ritornello, caricandosi e scaricandosi continuamente ed esplodendo nel suo mezzo, lasciando a John il compito di finire la canzone.
Canzone: Love Is My Disease; Album: The Element of Freedom; Scrittori: Keys, Brothers, Jor, Toby Gad, Meleni Smith; Produttori: Keys, Brothers, Jr, Gad;
Citazione preferita: “I thought love would be my cure, but now it’s my disease; I try to act mature, but I’m a baby when you leave.”
Altro album, altro incredibile successo, tanto che la gente cominciò a pensare che la Keys fosse immune dai flop, cosa che, ancora, non ha toccato la sua carriera – ma che potrebbe presto fare se non si decide a tornare con un singolo più “catchy”.
A solo due anni di distanza dal suo scorso album, Alicia entrò il tredici novembre nello studio di registrazione, decidendo di lavorare principalmente con “Brothers” Jeff Bhasker, Swizz Beatz, Toby Gad e Noah “40” Shebib.
Secondo i critici, qyesto è il lavoro che segnò la dipartura totale dal suo stile principale della soul music, avendo un range di canzone più “mid-tempo”, a chiave bassa ed essendo composto da molte ballate, cosa che indicò l’ennesimo momento di sperimentazione da parte di questa ecclettica artista – e lasciatemi dire che la copertina è probabilmente la migliore della sua carriera: ti comunica tutta la serenità di questo progetto.
Forte di una sperimentazione maggiore rispetto ai suoi precedenti album, la Keys fu in grado di unire il soul con l’rnb più grezzo.
Essendo questo il progetto più commerciale di Alicia, è anche quello da cui sono stati estratti più singoli, ovvero 6.
Nell’album Alicia scrisse da sola solamente una canzone, oltre a comporla con le sue mani, ovvero “That’s how my strong is”, ma io sono qui per parlarvi di quella che preferisco: “Love is my disease”.
Aggiungerei che questo, generalmente, è il suo album più snobbato dalle masse non essendo dotato di un singolo iniziale “portentoso”.
Questa è probabilmente la traccia più contaminata col rock, ed è infatti una canzone soft rock nella quale Alicia si dispera, lasciando andare il suo timbro graffiante (stessa tecnica di Christina: aria sul palato molle).
Ho scelto questa più perché rappresenta un qualcosa che Alicia non aveva mai provato che per altro; la canzone si fossilizza su un solo argomento: la perdita di un amante, che è un tema ricorrente nelle canzoni della Cook, e la conseguente sofferenza, in questo caso espressa da una frase al limite del straziante, la quale dice che l’amore, che dovrebbe essere una cura, non lo è più, ma è diventata una malattia, una fissa.
Dopo un’esecuzione aggressiva al 100%, la canzone termina in tutta tranquillità verso i tre minuti e mezzo.
https://www.youtube.com/watch?v=JRHqO-XkMTU
Canzone: Not Even The King; Album: Girl on fire; Scrittori: Alicia Keys, Emeli Sandé; Produttori: Alicia Keys;
Citazione preferita: “All the king’s horses and all the king’s men came charging to get what we got, the offered the crown and they offered the throne, I already got all that I want.”
No, mi dispiace per gli haters, ma Alicia Keys non sa floppare, nonostante quest’album debuttò con meno della metà delle copie del suo precedente album, riuscì ad arrivare a circa due milioni di copie mondiali, ma questo a causa di una pessima gestione – avrebbero dovuto approfittare di “Girl On Fire” remix con la Minaj per proseguire l’era.
Quest’album rappresentò un back to basics per la principessa del soul, un ritorno alle sue radici, pur essendo contaminato da un rnb contemporaneo e da del leggero rock.
L’album, trainato dal singolo da cinque milioni di copie mondiali “Girl on fire”, fu un vero successo e la portò a vincere un altro grammy per “Best rnb album”, e la fece diventare la più grande vincitrice in questa categoria, con ben tre vittorie.
Non voglio dilungarmi per niente su questa canzone composta da Alicia e la magnifica Emeli che, probabilmente, avrebbe avuto un successo internazionale se non ci fosse stata Adele; la canzone è un semplice continuo di “If ain’t got you” (ascoltatela, ascoltatela, ascoltatela!); è pura magia.
Termina così il nostro viaggio tra alcune delle perle della discografia di Alicia che, in attesa del suo sesto studio album, spero abbiano trovato un posto nel vostro cuore.
– Pubblicato da Golden Petals –
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